Protesi dell’anca: cause, post-operatorio e riabilitazione

Quando si parla di intervento di protesi dell’anca, spesso si viene spaventati da quella che può essere la portata dell’operazione.

Ecco, allora, qualche chiarimento relativo ad essa, con riferimento alle cause che portano alla necessità dell’intervento, al decorso post-operatorio e alla riabilitazione.

Protesi dell’anca intervento: quando ricorrere alla sostituzione protesi anca

L’intervento di sostituzione protesica dell’anca è necessario quando l’articolazione è affetta da un danno irreversibile e ha l’obiettivo di ripristinare la corretta mobilità e funzione articolare.

L’anca è una delle articolazioni più grandi del corpo e permette all’uomo di assumere la stazione eretta, di camminare e di correre. 

Essendo un’articolazione sottoposta a carico, questa incorre in fenomeni degenerativi e in molteplici affezioni, il cui comune denominatore può essere l’infiammazione, che nel tempo può cronicizzarsi, della membrana sinoviale, la quale ricopre l’articolazione e ha il compito di lubrificarla, impedendo così l’attrito tra i capi ossei ed evitandone l’usura oppure il danneggiamento e il logoramento a carico della cartilagine articolare.

Cause 

Le cause più comuni, che determinano un danno all’articolazione dell’anca, sono tre:

  • osteoartrosi: un processo caratterizzato dal consumo della cartilagine articolare, dovuto a sfregamento continuo; per questo motivo, sono dette anche artrosi da usura; il paziente, solitamente anziano, avverte dolore e difficoltà motorie;
  • artrite reumatoide: una malattia autoimmune nella quale il sistema immunitario, anziché difendere l’organismo dalle infezioni, lo attacca; le articolazioni diventano rigide, dolorose e gonfie e, con il tempo, deformi;
  • frattura ossea: tra le specie più frequenti nelle persone anziane; la guarigione spontanea, a volte, non è sufficiente a ristabilire la piena mobilità articolare.

Altre cause meno frequenti possono essere: 

  • l’artrite settica, che è un’infiammazione batterica dell’articolazione;
  • la necrosi avascolare, dovuta all’abuso di alcol;
  • la malattia ossea di Paget, che altera la crescita e il ricambio osseo: le ossa diventano più fragile e sono a rischio continuo di frattura;
  • i tumori ossei;
  • la displasia congenita dell’anca: in particolare, quest’ultima è caratterizzata da una disposizione anomala degli elementi ossei articolari, che pregiudica la capacità mobile dell’articolazione; il disturbo è presente fin dalla nascita e ha effetti, talvolta, invalidanti.

La prima misura terapeutica da adottare consiste in un trattamento conservativo, quali riabilitazione, fisioterapia e antidolorifici. 

Tuttavia, se l’entità del danno è notevole o ha natura cronica, va presa in seria considerazione la possibilità di sottoporsi all’intervento chirurgico di protesi d’anca.

In questi casi, sono il dolore persistente e l’incapacità di svolgere le più facili attività quotidiane, come stare in piedi, camminare, guidare ecc a convincere il paziente a operarsi.

La protesi d’anca rimpiazza, quindi, la naturale articolazione, ormai non più funzionale. 

Lo scopo dell’intervento chirurgico è quello di inserire una protesi che andrà a sostituire l’osso o la cartilagine che sono stati danneggiati.

Visita ortopedica e scelta della protesi

La valutazione ortopedica permette di tipizzare l’anca da operare.

Esistono vari modelli di protesi che possono durare dai 15 ai 20 anni: la scelta della protesi viene effettuata dal chirurgo in base al quadro clinico del paziente, anche se ci sono molti altri fattori da tenere in considerazione, come età, peso corporeo, presenza di allergie verso alcuni dei metalli della protesi e, logicamente, la tipologia di patologia che interessa l’anca, in quanto alcune protesi sono maggiormente indicate per curare alcune patologie rispetto ad altre.

La durata e l’usura della protesi dipendono dal tipo di materiale scelto; in base al materiale impiegato si possono distinguere due tipologie di protesi d’anca:

  • non cementate: costruite in lega di titanio a diretto contatto con l’osso;
  • cementate: presentano uno strato di cemento acrilico, una specie di colla, che fa da “cuscinetto” di modo da impedire il contatto tra la protesi e l’osso.

Operazione all’anca: come si svolge

L’intervento si esegue quasi sempre in anestesia totale, raramente viene effettuata un’epidurale e ha una durata di circa un’ora, ma ne esistono diverse tipologie.

Vi sono interventi più complessi, come l’artroprotesi, che prevedono la sostituzione totale su entrambe le componenti articolari, quali femore e acetabolo; in alernativa, si può ricorrere alla sostituzione parziale, l’endoprotesi, che preserva l’acetabolo, oppure alla protesi parziale, che prevede la conservazione del collo del femore, indicata solo per pazienti giovani e in assenza di osteoporosi.

Una nuova tecnica d’intervento è stata adottata recentemente ed è conosciuta come tecnica mini-invasiva, che prevede una piccola incisione cutanea della dimensione di 7 cm rispetto ai 15 cm delle tecniche chirurgiche tradizionali. 

I vantaggi di questo intervento sono:

  • meno dolore nei giorni a seguito dell’operazione;
  • cicatrice piccola e meno visibile;
  • tempi della convalescenza dimezzati.

Decorso post-operatorio

Il decorso post-operatorio dopo un intervento di protesi d’anca prevede diverse tappe obbligate, che assicurano una pronta guarigione e la ripresa della normale vita quotidiana. 

Mentre un tempo i pazienti operati di protesi erano costretti all’immobilità a letto per diverse decine di giorni, grazie all’evoluzione nel campo della chirurgia, oggi possono iniziare a muoversi fin da subito.

Il ricovero ospedaliero, pertanto, non è lungo e si aggira tra i 3 e i 5 giorni.

Operazione all’anca tempi di recupero

Il paziente deve far uso delle stampelle, con l’opportuna cautela, per almeno 4-6 settimane. 

Questo è il tempo che serve alla ferita e all’apparato muscolo-legamentoso per guarire e tornare alla normalità.

Fintanto che la deambulazione è ridotta, vanno praticate delle iniezioni di anticoagulante, per esempio l’eparina, per evitare che si formino dei trombi nelle gambe.

Se il paziente si attiene con scrupolosità agli esercizi di riabilitazione e non forza i tempi, il recupero totale e la ripresa delle normali attività avvengono dopo 2 o 3 mesi

Tra le normali attività, è inclusa anche la pratica di alcuni sport, quelli in cui non sono previsti movimenti bruschi e urti da contatto.

Nel periodo postoperatorio, uno dei sintomi più temuti dal paziente è il dolore

Tuttavia, è normale avvertirlo, soprattutto in seguito ad un’operazione invasiva come quella di applicazione di una protesi d’anca. 

Il tempo richiesto per il suo esaurimento varia da paziente a paziente; in ogni caso, non è mai particolarmente lungo.

Un’altra conseguenza naturale successiva all’intervento è la sensazione di stanchezza.

Possibili complicanze post operatorie

I segni che devono richiamare l’attenzione del paziente sono tre:

  • comparsa di rossore in corrispondenza della ferita;
  • aumento progressivo del dolore, anziché un suo calo;
  • edema in corrispondenza della ferita.

In loro presenza, si raccomanda di rivolgersi d’urgenza al medico curante.

Riabilitazione anca: l’importanza della fisioterapia

La riabilitazione è fondamentale per recuperare la piena mobilità articolare e la funzione nei tempi stabiliti.

Il percorso riabilitativo del paziente con protesi d’anca prevede:

  • esercizi di mobilizzazione dell’anca, del ginocchio e della caviglia, che saranno eseguiti fin dal giorno stesso dell’intervento chirurgico in modalità passiva, quindi guidati dal fisioterapista, e poi attiva, ossia eseguiti dal paziente; la maggior parte dei pazienti inizierà a deambulare il giorno successivo all’intervento, quando il drenaggio verrà rimosso;
  • esercizi specifici di rinforzo muscolare dell’arto inferiore, quali glutei, muscoli della coscia e della gamba;
  • esercizi di carico, esercizi propriocettivi e rieducazione del passo per favorire il prima possibile le normali attività quotidiane, dapprima con l’uso di stampelle, poi in completa autonomia.

La riabilitazione è un momento importante per il recupero fisico e psicologico del paziente: infatti, la sensazione di dolore patita all’inizio del percorso di recupero può sconfortare il paziente, ma il sostegno offerto dalle persone intorno a lui può aiutarlo a superare tali difficoltà e a riappropriarsi della autonomia in tempi più rapidi.

Se sono presenti dolore e gonfiore, è consigliabile ricorrere anche alla terapia fisica strumentale, che accelera i processi di guarigione e consente una compliance maggiore da parte del paziente.

Fondamentali sono alcune apparecchiature di ultima generazione, come:

  • FREMS terapia: segnali elettrici biocompatibili, modulati in frequenza, ampiezza e durata, in grado di interagire con i tessuti biologici alleviando il dolore e l’infiammazione;
  • laser terapia YAG: sfrutta la luce laser per trasferire energia ai tessuti sofferenti e ripristinare, attraverso l’effetto fotochimico, l’equilibrio energetico compromesso;
  • Tecar terapia e Diamagneto terapia (pompa diamagnetica): attraverso la generazione di un campo elettromagnetico ad alta intensità (circa 2 tesla per la pompa diamagnetica CTU Mega 18) si ottengono effetti positivi sulla matrice extracellulare, agevolando il riassorbimento di edemi e gonfiori attraverso la stimolazione del sistema linfatico, ma anche sulle cellule, accelerando i processi di guarigione dei tessuti.

Una volta che il paziente abbia recuperato la funzione, è opportuno che la “nuova articolazione” sia integrata nel complesso sistema tonico posturale attraverso un programma di rieducazione posturale.

Questo può essere applicata attraverso varie metodiche, la più importante ed efficace è rappresentata dal Metodo Mezieres, che ha lo scopo di normalizzare la struttura di un corpo lavorando tramite il gioco di retrazione e accorciamento delle catene muscolari. 

In tal modo, si allentano le tensioni muscolari e si ripristina la lunghezza originaria dei muscoli accorciati.

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